La generazione di artisti, a cui appartiene Marco Bagnoli, che si è andata manifestando, in maniera più o meno compatta, fra la fine degli anni 1970 e quella del decennio successivo, da Remo Salvadori a Jan Vercruysse, attraverso Ettore Spalletti, Franz West, Reinhard Mucha, Thomas Schütte, Shirazeh Houshiary, Anish Kapoor, tanto per citare quelli di loro a cui Bagnoli si è più avvicinato, ha praticato il luogo della mostra come quello in cui si realizza la teoria come prassi.
Bagnoli in particolare inizia dal 1981, e continua fino al momento attuale, ad occupare luoghi della tradizione storica e religiosa del territorio di origine e di appartenenza che riconosce e in cui si riconosce, la Toscana, in quell’iniziale 1981 fu la Villa Medicea La Ferdinanda di Artimino.
Sarà poi la volta della Cappella Pazzi di Filippo Brunelleschi nel 1984, della Sala Ottagonale della Fortezza da Basso nel 1989, del Forte di Belvedere nel 2003 e nel 2017, del Giardino di Boboli nel 2013, della Stazione Leopolda nel 2014. La Basilica di San Miniato al Monte dal 1992 fino al 2018 con la celebrazione del Millenario.
Avendo poi avuto una iniziale educazione scientifica la sua arte sconfina dalla chimica all’alchimia e alla fisica, nello stesso modo in cui trascorre dall’esoterismo al misticismo, riconoscendo quella che Ananda K. Coomaraswamy definiva come tradizione metafisica.
Spazio X Tempo chiama la banda rossa in proporzione aurea che costituisce la sua cifra. Si addentra nelle Upanishad e si intona a Rumi. Parallelamente guarda alle ultime declinazioni dell’Arte Occidentale quali vi si manifestano prima del suo declino, da Cézanne a Malevič, da Joseph Beuys a Mario Merz.
Pier Luigi Tazzi, Janua Coeli 2018 – 2019
Per approfondire l’opera di Marco Bagnoli: